La demodoxalogia andrebbe inquadrata nel campo delle scienze sociali e della comunicazione. È in estrema sintesi quanto ho sostenuto al convegno nazionale dell’associazione dei sociologi ANS tenuto alla Sapienza l’11 giugno 2009. In questo senso è significativo che l’incontro si sia svolto a Scienze della comunicazione, una Facoltà sorta proprio nell’alveo della sociologia grazie all’impegno istituzionale di Mario Morcellini e Paolo De Nardis negli anni novanta. I due docenti, presenti al convegno, hanno mostrato interesse alla proposta avanzata a nome della Società italiana di demodoxalogia SIDD: non possiamo che augurarci sviluppi interessanti in tempi ragionevoli. Nel frattempo altre iniziative di divulgazione della demodoxalogia sono già programmate per i prossimi mesi: sul nostro sito all’indirizzo OpinionePubblica.Com saranno pubblicati tutti gli aggiornamenti in proposito.
Intanto, proviamo ad accennare ad alcuni dei motivi che spingono a sostenere la rilevanza della demodoxalogia per il mondo accademico e professionale degli operatori della comunicazione.
Innanzitutto, si tratta di una misconosciuta tradizione di studi italiana antesignana, o perlomeno contemporanea, ai più rinomati approcci pionieristici degli studi sui mass media. Così, mentre Harold Lasswell con il suo fondamentale studio sulla propaganda nella Grande guerra segna nel 1927 la nascita della moderna analisi del contenuto, già nel 1928 il padre della demodoxalogia Paolo Orano, nella prolusione al corso di giornalismo dell’Università di Perugia, indica l’opinione pubblica come oggetto di scienza essendo “una potenza con la quale il potere di governo, il regime politico, deve trattare e alla quale può anche soccombere”. Ricordiamo solo che quelle parole furono pronunciate nella “Facoltà fascista di scienze politiche” e che Orano, come molti pionieri della demodoxalogia, fu organico al regime fascista: questo spiega il successivo ostracismo degli ambienti accademici più progressisti che ha sostanzialmente bloccato lo sviluppo della disciplina. Come dicevamo, sembra arrivato il momento di discutere il contributo che la demodoxalogia può dare alle scienze sociali, senza fuorvianti condizionamenti ideologici.
Oggi la demodoxalogia più che una “scienza” (come fu considerata dai suoi fondatori anche per legittimare le derive fasciste) può considerasi soprattutto un metodo che offre alcuni interessanti strumenti di analisi dell’informazione e della formazione dell’opinione pubblica. Di grande interesse mi sembrano le relazioni della demodoxalogia con gli altri metodi e approcci analitici sia quantitativi sia qualitativi: la disciplina, infatti, da un lato misura quantitativamente (con lo strumento dell’indagine demodoxalogica, la cosiddetta “inde”), dall’altro elabora qualitativamente con sondaggi su campioni scelti (non usa il campionamento statistico rappresentativo caro ai sondaggisti). La demodoxalogia privilegia la ricerca sulle “fonti aperte” (poiché, come diceva Truman quando era presidente Usa, gran parte delle informazioni riservate sono pubblicate dai giornali) e dunque può essere considerata anche un approccio di Open Source Intelligence (Osint). Dobbiamo tornare alla storia, comunque, per sottolineare un altro aspetto rilevante. Mentre negli anni trenta studiosi come Kurt Lewin sviluppano approcci di tipo socio-psicologico che culminano nel 1955 con lo studio di Katz e Lazarsfeld sull’influenza personale nelle comunicazioni di massa (altra pietra miliare della ricerca statunitense), in Italia, proprio alla prima università di Roma, negli stessi anni si sviluppano su diversi fronti gli studi di demodoxalogia: tanto che nel 1939, alla Facoltà di scienze politiche della Sapienza, Paolo Orano e il suo allievo Federico Augusto Perini-Bembo, fondano il Centro studi e indagini sull’opinione pubblica.
Questo Centro, la cui esistenza è stata finora ignorata, ha una discreta attività ben prima della fondazione di quello che viene considerato il primo istituto di sondaggi sorto in Italia (la Doxa, nel 1946). Non c’è, dunque, un ritardo nello studio scientifico dell’opinione pubblica in Italia come generalmente si sostiene (si veda la mia recensione alla storia del sondaggio d’opinione di Sandro Rinauro)! Lo ripeto: dal 1939 alla Sapienza, sette anni prima della nascita della Doxa, era già attivo il citato Centro studi. In ogni modo, nel dopoguerra lo studio della demodoxalogia prosegue col domenicano Felix Andrew Morlion, autore di un apostolato dell’opinione pubblica, ma anche agente dell’intelligence Usa a Roma e fondatore dell’Università internazionale Pro Deo (l’attuale Luiss).
All’attività del Centro studi della Sapienza si richiama in particolare la Società italiana di demodoxalogia, sorta nel 1995 per iniziativa di Giulio D’Orazio (che svolse le ultime lezioni di demodoxalogia all’Università di Roma). La Sidd (anche all’interno della Società italiana per il progresso delle scienze di cui è socia) sopperisce inoltre al silenzio della Fondazione di demodoxalogia voluta da Perini-Bembo e impegnata per anni solo in complicate questioni ereditarie estranee allo sviluppo degli studi: è solo grazie alla nostra associazione, infatti, che oggi possiamo ancora parlare di demodoxalogia. A cominciare proprio dal nome della disciplina che abbiamo finalmente sdoganato dalle incongrue italianizzazioni (demodossalogia/demodossologia) e dalle confusioni terminologiche (dossologia e varianti) purtroppo ancora presenti nei dizionari: un eccellente punto di partenza enciclopedico è invece Wikipedia. Ma, oltre gli aspetti formali, quello che più dovrebbe interessare è che la vicenda della demodoxalogia non venga dimenticata, soprattutto nella storia delle scienze sociali e specialmente dalla Sapienza: in particolare, ci sembra che l’Università di Roma grazie alla demodoxalogia possa acquisire qualche merito e primato storico che sarebbe ingiusto tacere.